domenica 22 dicembre 2024

DEDICO QUESTO SEMPLICE POST A TUTTE LE MIE DOLCISSIME AMICHE E SORELLE SENZA LE QUALI NULLA SAREBBE COLORATO E MUSICALE COM'È
Le donne che abbracciano
Siete mai stati abbracciati da una donna?
Non intendo quegli abbracci fugaci, appena un contatto di guancia, un tocco distratto. E nemmeno mi riferisco agli abbracci misurati, quasi coreografie di circostanza, dove il timore di sgualcire un abito prevale sul calore umano.
E nemmeno mi riferisco a quelli infuocati, che cercano la fusione dei corpi, ma che spesso si concentrano più sul desiderio che sulla vera connessione emotiva, sono i migliori...
No. Io penso a quelli dati di slancio, che ti travolgono e ti fanno traballare. Quelli che ti stringono l'anima, che ti proteggono, ti contengono in un vortice di emozioni, dove il sorriso o le lacrime sono un'unica, immensa, espressione.
Senti il battito del loro cuore contro il tuo, una coperta calda e morbida, senza riserve, senza remore, un calore che si propaga ovunque.
In quell'abbraccio, apparentemente fragile, c'è un'accoglienza totale, un avvolgerti oltre ogni tenerezza.
Quegli abbracci lì, solo le donne li sanno dare. Perché in quegli abbracci c'è tutto l'abbandono, tutta la forza, tutta la dolcezza e tutta quella meravigliosa magia nel portare il corpo come fosse un mantello di seta di stelle intessuto di calore, di protezione, di amore incondizionato, che solo una donna conosce.
Non è solo un contatto, ma un avvolgimento totale, come un grembo, un rifugio sicuro, un "ci sono io" silenzioso che nutre l'anima e conforta il cuore. Un'accoglienza incondizionata, dove fragilità e forza si fondono in una magia inesplicabile. Una testimonianza di amore e protezione che... non si dimentica più.
Non ci sono poesie o musiche o dipinti che possano descrivere l'impeto travolgente e tenero di quell'abbraccio. Bisogna solo riceverne uno in dono...
Auguro a tutti, per questo Natale, un abbraccio così. Un abbraccio, per sempre.




martedì 17 dicembre 2024

"Campione di Sconfitte: Il Manuale (Non Richiesto) per Trasformare Ogni Minima Azione in un Disastro Colossale"

"In una società dove tutti si allenano per l'oro olimpico della perfezione, io mi sono specializzato nel lancio del giavellotto... contro il muro. Con ottimi risultati, devo dire. Il muro, ovviamente, è ancora lì. Io un po' meno. Sembra che la parola d'ordine sia 'successo', declinata in ogni sua forma: successo professionale, successo social, successo persino nel fare la spesa al supermercato senza dimenticare il sacchetto riutilizzabile. Nei telefilm (di solito americani, ma la tendenza si sta espandendo a macchia d'olio) ogni padre chiama il proprio figlio 'campione' e la propria figlia 'principessa'. Nessuno che usi termini tipo 'tesoro', 'amore mio'... naaa!!! Troppo melenso. I sentimenti valgono poco nel mondo delle competizioni, dove l'unica cosa che conta è arrivare primi. E così, anch'io sono diventato un campione. Un campione di sconfitte, di gaffe, di figuracce, di 'epic fail'. Potrei scrivere un manuale su 'Come trasformare ogni minima azione in un disastro colossale'. Anzi, forse lo farò.
Ho iniziato presto, da piccolo, ad affinare le mie doti di 'problem maker'. Ricordo una volta, a tavola, avevo osato esprimere un'opinione sulla bontà di un piatto e del suo condimento. Mio padre mi guardò con lo stesso sguardo che useresti per un alieno appena atterrato nel tuo giardino e tuonò: 'Non siamo in parlamento! Qui decido io!!'. Da quel giorno, mangio solo con olio e rassegnazione. E ho anche imparato una lezione fondamentale: 'Quando sei martello batti, se sei incudine statti!!!'. Io, ovviamente, ero l'incudine. E lo sono rimasto.
Perché, vedete, pensavo che una volta cresciuto sarei diventato io il 'martello'. Magari non un martello pneumatico, ma almeno un martelletto da carpentiere. Invece, mi ritrovo a essere un'incudine di ultima generazione, schiacciata non più da mio padre, ma da un'alleanza apparentemente invincibile formata da mia figlia e mia moglie. Se prima subivo in silenzio, ora vengo amorevolmente 'consigliato' su come dovrei comportarmi. E i 'consigli', ovviamente, si trasformano in ordini. In casa ormai mi chiamano 'il comodino parlante'. Mi interpellano solo per recuperare il telecomando sotto al divano o per fare rifornimento di snack. Per il resto, resto lì, immobile, ad accumulare polvere (e chili). Il mio potere decisionale si limita alla scelta del gusto del gelato al supermercato… e anche lì devo stare attento a non contrariare i gusti della 'coppia regnante'.
E vogliamo parlare del lavoro? Tempo fa gli avvocati erano temuti e rispettati. Nella Napoli di una volta venivano interpellati per risolvere beghe e piccoli conflitti 'a norma di legge', tanto li si riteneva saggi ed imparziali. Io che ho fatto? Ho studiato, ho faticato da praticante per più di dodici ore al giorno ed ora… ora mi trovo clienti che mi chiedono di ratificare quello che hanno trovato su qualche penoso sito pseudolegale, scritto in un italiano improbabile e pieno di errori grammaticali, e mi chiedono di 'darci una controllatina'. Come se io fossi un correttore di bozze gratuito. Altro che 'nobile arte forense'! Ormai mi sento più vicino al mondo del 'copia e incolla' che a quello dei codici.
Potrei continuare a lungo, ma temo che a questo punto abbiate già sviluppato una certa empatia per la mia condizione. O forse una forte compassione. O, peggio ancora, un irrefrenabile desiderio di cambiare pagina. L'ultima scoperta che ho fatto è che anche Facebook, con i suoi algoritmi infallibili, mi ignora. Preferisce le foto di torte a forma di unicorno e i balletti improbabili delle influencer. Evidentemente, le mie riflessioni sulla crisi della società del pensiero o sulle avventure di Babbo Natale non sono abbastanza 'likeable'. Mi tratta come un parente scomodo alle feste di famiglia. Mi mette in un angolo e mi ignora.
Quindi, ditemi, amici, colleghi, sconosciuti di internet: sono il Forrest Gump delle catastrofi? Il Don Chisciotte delle cause perse? O semplicemente un uomo che ha capito che, in fondo, la vita è una gigantesca candid camera e io sono il protagonista inconsapevole? Datemi una risposta. O, meglio ancora, un like. Almeno quello.
P.S. Per la cronaca, questo post l'ha scritto una AI. Non sia mai che mi prenda il merito di di un qualche preziosissimo "like", donatomi più per compassione che per convinzione...!

domenica 6 ottobre 2024

Dio e la creatura: una relazione intricata, faticosa, forse impossibile... ma al contempo un profondo bisogno inesaudito dalla creazione in poi


La consapevolezza di sé e dell'ambiente in cui vive, induce la Creatura a interrogarsi sulla propria esistenza, dunque sulla sua origine, dunque su un possibile Creatore. Per l'Uomo, la risposta a queste domande ha impegnato pensatori di ogni epoca e civiltà, dalle riflessioni di Platone e Aristotele nella Grecia classica, alle indagini di Confucio e Lao Tzu nell'antica Cina, dalle illuminazioni di Buddha e dei saggi Upanishad in India, alle elaborazioni teologiche di Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino nel Cristianesimo medievale, fino alle critiche nella filosofia moderna. Spesso tutto ciò comportando conflitti aspri e violenti, ma senza una soluzione definitiva.


In questa riflessione, si propone una nuova ipotesi per rispondere al quesito sull'esistenza di un Creatore: definire Dio come "tendenza". Tale idea apre a nuove interpretazioni del divino. Cosa significa esattamente "Dio come tendenza"? È utile considerare come questo concetto si inserisca nel panorama del pensiero filosofico e religioso. Già alcuni pensatori, pur con differenze significative, hanno toccato temi affini alla "tendenza" verso Dio: Aristotele con il suo concetto di "telos", ovvero la tendenza di ogni essere verso la realizzazione della propria natura, Plotino e i neoplatonici con la loro visione di un universo emanato dall'Uno, da cui ogni creatura proviene e a cui aspira a tornare, i mistici cristiani e orientali con la loro ricerca di unione con il divino, attraverso l'esperienza estatica e la contemplazione, e persino Kierkegaard con la sua enfasi sul "salto di fede", inteso come atto libero e personale di affidamento a Dio.


Approfondendo ulteriormente questa ipotesi, emerge il ruolo cruciale della consapevolezza della Creatura nel definire la propria "tendenza" verso Dio.  L'ipotesi qui avanzata si distingue per alcuni aspetti fondamentali, come l'impossibilità di raggiungere una completa fusione con il Creatore e il ruolo centrale della consapevolezza della Creatura nel definire la "tendenza". Non si tratta semplicemente di seguire un istinto o una predisposizione innata, ma di un processo che si attiva quando la Creatura comprende di essere parte di un sistema complesso e chiuso, preordinato da un'entità che la trascende. Tale consapevolezza genera una serie di interrogativi sulla propria esistenza, sulla propria origine, sul proprio ruolo nel cosmo. La "tendenza" verso Dio si manifesta quindi come una ricerca di senso, un desiderio di comprendere il fine ultimo della propria esistenza e di connettersi con qualcosa che vada oltre i limiti del proprio mondo.


Tra i filosofi che si sono avvicinati alla concezione di "Dio come tendenza", Hegel merita una particolare attenzione. Nella sua filosofia, Dio è concepito come Spirito Assoluto, un'entità dinamica e in continua evoluzione che si manifesta nella storia attraverso la coscienza umana. L'uomo, nel suo percorso di conoscenza, "crea" Dio come culmine del processo di autocoscienza. Questa visione presenta delle affinità con la nostra ipotesi, in particolare per l'idea di un Dio "in divenire" che si realizza attraverso la creatura. Tuttavia, Hegel ritiene che l'uomo possa raggiungere l'unione con lo Spirito Assoluto, mentre nella nostra concezione la Creatura non può mai identificarsi completamente con il Creatore, a causa della sua natura finita e limitata. Inoltre, Hegel non parla esplicitamente di una "creazione" di Dio da parte della creatura, mentre noi sottolineiamo il ruolo attivo della Creatura nel "plasmare" la propria immagine di Dio.


Tuttavia, questa consapevolezza si scontra con un paradosso fondamentale: la Creatura può concepire l'idea di Dio, formularla nel proprio pensiero, ma non potrà mai conoscerlo completamente né eguagliarlo. Infatti, la Creatura, pur nella sua consapevolezza, rimane intrinsecamente limitata dalla sua natura finita e dipendente. Il Creatore, al contrario, è la fonte stessa dell'esistenza, l'origine di ogni cosa, e come tale rimane per la Creatura un mistero insondabile. L'asimmetria, l'inconoscibilità e la libertà che caratterizzano il rapporto tra Creatore e creatura impediscono una completa fusione. La Creatura può solo tendere verso Dio, cercarlo, avvicinarsi a lui, ma non potrà mai identificarsi completamente con lui, né comprenderne appieno l'essenza. In questo senso, è la Creatura stessa che, nel suo sforzo di comprensione, "crea" Dio, plasmandolo a sua immagine e somiglianza, proiettando su di lui i propri desideri, le proprie paure, le proprie aspirazioni. Come affermava Feuerbach, "Non è Dio che ha creato l'uomo, ma l'uomo che ha creato Dio". Questo paradosso è un elemento fondamentale nella ricerca di Dio, un limite che la Creatura deve accettare e che la spinge a una continua riflessione sul mistero dell'esistenza.


In questo processo di "creazione" di Dio, la Creatura plasma un'immagine divina a propria misura, un Dio che risponde alle sue esigenze, ai suoi desideri, alle sue paure. Questo "Dio immaginato" diventa un punto di riferimento, una fonte di senso, una guida nel cammino di vita. Come afferma Nietzsche, la "morte di Dio" apre la possibilità per l'uomo di diventare "Oltreuomo", creando i propri valori e il proprio senso della vita. Tuttavia, a differenza dell'Oltreuomo che si fa Dio di se stesso, la Creatura che crea Dio non può che immaginarlo come un "sé stesso perfetto", un ideale irraggiungibile, proiettando su di lui le proprie aspirazioni e i propri desideri di pienezza. In modo simile, Jung vede l'archetipo di Dio come una rappresentazione simbolica del Sé, la totalità della personalità, che l'uomo "crea" nella propria mente per dare un senso alla propria esistenza.


La "tendenza" verso Dio è un moto di attrazione verso l'entità causale, un processo di crescita interiore, una ricerca di autenticità e di realizzazione del proprio potenziale.  Immaginando Dio come un "sé stesso perfetto", infinitamente potente,  la Creatura gli attribuisce caratteristiche in qualche modo immaginabili,  pur se amplificate all'infinito.  Si pensi, ad esempio, all'idea  dell'apertura del "terzo occhio", un potenziamento che consente di "vedere" l'invisibile, ma che rimane pur sempre un potenziamento strumentale,  concepibile nella dimensione umana.  Ognuno tenderà dunque a sviluppare ciò che ritiene attribuibile a Dio, e ciò varierà da creatura a creatura, da individuo a individuo.  Questo cammino di crescita è però infinito,  poiché la Creatura,  per definizione priva dei reali attributi di Dio,  non potrà mai  raggiungerli  completamente.  È come  cercare di far incrociare due rette parallele:  la dimensione finita della Creatura e l'infinita  potenza del Creatore  rimarranno  per sempre  separate.  Eppure,  come ci suggerisce il racconto "L'ultima domanda" di Asimov,  Dio,  pur  nella sua inconoscibilità,  è  ciò di cui abbiamo bisogno per giustificare noi stessi e si può trovare in qualunque dimensione, nel suo rapporto fra se stesso e il sistema creato.


In conclusione, la percezione di Dio come tendenza, superando le specificità tradizionali filosofiche e religiose, definisce il bisogno della Creatura di non sentirsi finita, limitata, priva di senso. La focalizza verso l'elevazione, il potenziamento di sé. Offre anche un ulteriore fondamento all'idea della fratellanza fra le creature, poiché ne sottintende la uguale relazione con il Creatore, accomunate dalla medesima "tendenza" verso la trascendenza e la ricerca di senso. La concezione di "Dio come tendenza" non solo illumina il rapporto tra Creatura e Creatore, ma getta anche una nuova luce sulle relazioni tra le creature stesse, invitando a una maggiore comprensione e solidarietà reciproca. Il cammino verso l'infinito è al contempo individuale e collettivo, poiché si sviluppa sì interiormente, ma anche, attraverso l'espressione dell'azione del sé, nella dimensione comunitaria ed universale, sia che si condivida la sete di conoscenza e di elevazione che no.  Questo viaggio è l'unica via attraverso la quale la creatura, in se stessa e come comunità, può cogliere l'opportunità di  crescita, di scoperta e di connessione con il mistero dell'esistenza, un mistero che ci unisce e ci invita a superare i confini della nostra finitezza.

lunedì 23 settembre 2024


E’ autunno.
Ancora una volta torna il tempo che amo, fatto di emozioni più che di sensazioni. Emozioni che si scrivono con i colori, con i profumi, con le luci svanite in ore sempre più piccole, con l’abbraccio dei panni più caldi frettolosamente ripresi dagli armadi nei quali s’erano rifugiati dal soffocante ruggito estivo.
E’ il tempo della memoria, rievocazione di eccessi ed avventure d’estate, di vibranti occasionali amori e dei tuffi in sentimenti audaci e spericolati, obbligatoriamente vincolati ad un tempo specifico oltre il quale porterebbero solo scompiglio e disordine.
E’ il tempo del tramonto, che mai come ora si tinge di echi lontani. Di epoche selvagge ed innocenti, quando l’amore materno cullava e nutriva, garantendo un nido accogliente ma lasciando spazio ai primi ruzzolanti voli. Ci si sentiva liberi, aquile sprezzanti ed orgogliose… quando si era soltanto pulcini mai lontani dallo sguardo che custodisce con amore infinito.
Lo ricordo bene, quel tempo. A Sorrento l’aria si tingeva di profumi squillanti. Mentre il mare, con i suoi primi sussulti, si scagliava su spiagge e scogliere lasciando ovunque pulviscoli di spuma salmastra, ben percepiti dalle narici dei pescatori. Nell’entroterra, l’odore aspro di vinaccia raccontava invece la storia millenaria del succo dei filari scoscesi, di un novello presto in arrivo, festeggiato con brindisi ed amori ridenti.
Le terre scoscese sul mare, poi, si coloravano dei teli distesi sotto agli ulivi affinchè nessun frutto prezioso, in terra abbandonato, potesse rovinarsi. Tutto sembrava dipinto con colori orchestrati per donare stupore, catturare lo sguardo per trattenerlo sull’armonico danzare dei verdi argentei del denso fogliame, dei rossi e dei neri degli umani tendaggi, e dell’azzurro squillante del cielo e del mare, biancheggiati entrambi da nuvole e spume!
Ricordo… ricordo lo strapiombo della Torre di Minerva, talmente proteso sul mare che il suo silenzio poteva essere rotto solo dalle morbide eco di vite lontane. Un grido d’uccello, la voce d’un navigante, si percepiva a chilometri come fossero giusto dietro di te. Era un incanto, una magia che ti avvolgeva annodandoti i sensi, mentre il suono diventava colore, il profumo canzone, il leggero sfiorare del vento, sapore… Eri solo… ma sentivi tutti i pensieri del mondo, tutte le anime dell’universo e affogavi nel turbine della meraviglia incantandoti man mano di più.
La sera, poi, quando la luce scendeva più in fretta, le luci inondavano il borgo dei pescatori, tessendo un reticolo fitto di quello che sarebbe diventato a breve Presepe, nascita di un Dio d’amore che sa solo donare bellezza.
In quelle stradine, ricordo il brusio dei passanti, ancora tantissimi e ben decisi a godersi ogni piacere possibile, e i millecolori delle merci degli artigiani, ben esposte al di fuori delle rispettive botteghe. Rispetto all’estate, si percepiva una nuova e sopravveniente lentezza, un desiderio di assaporare, e non divorare. Anche i passi si facevano più lunghi, come più meditati, e si contavano i selci sporgenti e gli inciampi quasi fossero analoghi a quelli di ogni nostra vita.
Si, quell’autunno era la vita, ora che sono io stesso diventato autunno. Era tutto ciò che durante l’estate esonda e si perde, tutto quello che l’ansia del divorare non consente di assaporare. Era la gioia di tornare, dopo essere andati, sapendo di ritrovare. Che fortuna che era!!!
Ho sempre amato, l’autunno.