martedì 29 luglio 2014

Dietro gli occhi chiusi

Lo spazio, aperto su se stesso.

Il buio, affollato di echi di immagini, di schegge di persone, luci ed illusioni... il simulacro della vita, pensa Milo, steso sul letto umido del sudore d'agosto.
Cerca il sonno, ma senza successo. Come ogni sera, sente la stanchezza nelle ossa ed il sollievo procuratogli dal distenderle sul duro materasso ortopedico, giunto fin lì all'epoca delle promesse e dei cambiamenti.
Con il fardello del suo quotidiano sulle spalle, nel cuore e nella mente, Milo desidera discendere nell'oblio il più in fretta possibile e, per propiziarlo, tenta di evocare ciò di cui non trova più traccia, non avverte più odore, in quei contorti ed abbacinanti giorni d'estate. Strano come basti questo a spegnere l'anima... eppure tale è il momento di Milo, un momento di tutti i momenti.
Ciò che ha è sempre ciò che non vuole, che non riconosce più perchè è parte invisibile della sua aria, mentre guarda lontano le creste dell'orizzonte cui tende. Quell'aria, Milo la distrugge lentamente, respirandola, trasformandola da siero di vita in uno scarto inerte che induce una morte insapore. Allo stesso modo, ogni passo che compie, ogni traguardo vissuto, ogni costruzione che gli pare di aver realizzato è assorbita e consumata, cacciandone via lo scarto... che resta ai suoi piedi, unica testimonianza di ciò che è per lui e di ciò che è stato. Null'altro, se non scarti.
La sua vita è ciò che essa stessa poi rifiuta, espelle. Spazzatura.
Spazzatura che gli rimane negli occhi, nell'odore che percepisce di sè, nell'ansia che gli sfonda il petto, nel panico ricorrente ed inutile, nel suo personalissimo vuoto quotidiano.
Eppure, l'insopportabile spinta della sopravvivenza lo obbliga a puntare lo sguardo avanti, anche quando l'avanti non c'è. L'insostenibile spinta della sopravvivenza lo obbliga, lo costringe, lo vìola al respiro di quell'aria, aria che non vuole, che vorrebbe espellere per sempre da sè. Lo vuole con tutte le sue forze, esausto, sfinito. Ma non riesce a formare la volontà.
E muore, e rinasce.
Oddio! Lo strazio di una lacerazione di ogni secondo di tutti i minuti... di una esistenza doppia in un doppio universo, dietro gli occhi e poi davanti, nel corrugarsi della realtà.
Osserva, Milo, quella realtà ad occhi chiusi. Ogni sguardo non può fondarsi se non su ciò che ad esso rimane dietro, sul buio nel quale le immagini si imprimono e si memorizzano. Se quelle immagini poi ritornano dietro agli occhi protesi all'infinito, su quella rete spezzata di schizzi di colori-ombre-luci, cosa succede al cuore, al suo cuore?
Dove si rifugia, allora, la sua speranza, il suo bisogno, il suo respiro che è costretto a soffiare ed inspirare di seguito ad ogni seguito?
E dove si annida il conforto, se ciò che respira è solo il prodotto del suo respiro?
Così, nell'oscuro screziato dietro agli occhi chiusi, occorre simulare per rammentare, inventare, raccontare al cuore la storia di una guancia su un golfino di lana pettinata, con l'odore di chi l'ha amato quando non c'era la consapevolezza di essere; occorre integrare, sommare, ideare il contatto di chi ha amato, quando lei non sapeva ancora di poterlo, creando minuti che non sono esistiti e non esisteranno, pronunziando parole mai vibrate, rievocando vissuti mai compiuti, ma vivi, vivi come fossero stati davvero. Sua la gioia, sua la passione, suo quel cuore scoppiato per la semplice felicità di un abbraccio.
Le lacrime pungono, dietro gli occhi, e poi fluiscono, amico mio...
Milo respira un amore vecchio eppure assolutamente nuovo. Entra in lei dolcemente, lentamente, profondo quanto può, dilungando gli attimi come nemmeno un millennio potrebbe, e le parla e l'ascolta spiandone il viso, il sorriso che si esprime nell'espressione che conosce e riscopre senza pause. E' amore, e rivelazione e confidenza in ogni istante, ed è dono ogni singolo movimento e fiato, insieme.
Sente di essere accolto (accolto!), avverte il desiderio di lui in lei, cui stenta a credere tanto è desueto, impossibile. Come un bambino, è un bambino, trema, ma non riesce a non sperare, a non desiderare di poter, anche solo una volta ancora, gioire.
Dentro, un'invasione tiepida, una bolla che esplode lenta, frammentando carezze inesprimibili. Lacrime che scorrono al contrario perchè di gioia e non più di solitudine. E' ancora in lei, l'abbraccia con l'anima, con una sillaba le regala ogni singola stilla della propria vita, di un cuore sezionato, vecchio e ricco di milioni di giornate moltiplicate per le milioni di vite della sua mente.
Inesprimibile ed immensa, l'emozione, trasmessa attraverso il donare dell'amore. Senza parole, senza vibrazioni. E talmente vera da far impazzire.
Rigano il viso, scorrendo veloci, amico mio...
Illusione.
D'improvviso, Milo percepisce il mondo. Lo sente ghermirgli di nuovo il cuore, con la stretta familiare di tutte le ore. I polmoni caccian via l'aria di colpo, come a seguito di un pugno violento al petto.
Da un lato, il ricordo, perentorio, del calore infinito. Dall'altro, solo il freddo del sudore, delle lenzuola stravolte, del cuscino intriso.
La percezione si sdoppia in un universo contrario, insopportabile nella contraddizione e Milo sbanda, ondeggia, rammenta mani sentite ma mai strette, la sua pelle, il suo corpo, il suo profumo, le parole del suo amore. La pressione ha il sopravvento e spezza il delicato filo fra anima e spirito, liberandolo per condannarlo al vuoto di un riflesso senza fine.
E' un attimo. In qualche modo si ricongiunge. Milo piega le spalle e va, il suo doppio, va.. come sempre.

...e poi finiscono... finiscono solo per ricominciare, amico mio...

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